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martedì 21 giugno 2011

USO DI ENTEOGENI: STRATEGIA DI ADATTAMENTO?




Tornando alle ipotesi proposte da Fericgla relative all’uso ancestrale di ayahuasca ed alle conseguenze che ne derivano sul piano pedagogico-cognitivo, mi sento di poter avanzare l’ipotesi che anche l’uomo distante da quelle pratiche rituali relative all’ausilio di preparati enteogenici possa comunque trarre giovamento in termini di maggior adattabilità all’ambiente esterno (e interno).
Il cervello umano è anatomicamente e funzionalmente suddiviso in due emisferi: il sinistro legato alle attività intellettuali, al pensiero logico-razionale, analitico, lineare alla temporalità, causalità, mentre l’emisfero destro si è evoluto per quanto riguarda il pensiero sintetico, l’a-temporalità, relazioni spaziali, intuizione ed il pensiero creativo e ha persino un ruolo nelle esperienze spirituali..Il funzionamento dell’emisfero destro è estremamente importante per l’autoriconoscimento delle malattie e per le percezioni dello stato interno del corpo,. Questo suggerisce che l’aumento dell’autopercezione a livello socio-culturale, fisico, mentale ed emozionale è comprovato dalle esperienze con enteogeni, dalle tecniche di modifica della coscienza ed in particolar modo amplificato da situazioni rituali, che contribuiscono a aumentare la consapevolezza di sé e dell’ambiente che ci circonda. Queste nuove acquisizioni, quindi, favorirebbero una scoperta più rapida ed accurata dell’eventuale nodo psichico o problematica in generale che può causare il disagio e/o la malattia. Il rituale entro cui la bevanda viene consumata e per estensione tutti quei riti1 che includono esperienze analoghe, coinvolgendo il controllo del corpo, la musica e le parole dei canti che trasmettono l’habitus di appartenenza combinati con l’azione della bevanda psicotropa, provoca una sincronizzazione tra i due emisferi. Questa permette ad ogni individuo di qualsiasi tradizione, cultura, credo, genere, esperienza, di beneficiare delle potenzialità adattogene che la bevanda permette, alla sola condizione che il suo uso rientri in un ambito strettamente rituale. Ciò ci conduce ad una questione semantica di profonda importanza: cosa implica per un essere umano adattarsi? Possiamo convenire che, come minimo, si tratta di un doppio processo costante (biologico e culturale) suddivisibile in due momenti: assimilazione di informazione e accomodazione all’ambiente modificantesi che induce ad un agire indirizzato al benessere e per assicurare al processo vitale il massimo tempo possibile. Così, in senso generale, possiamo dire che “adattarsi” significa orientarsi e conciliarsi con nuovi scopi. Nell’essere umano l’adattamento agisce mediante il processo di modificarsi a sé stesso, plasmando la realtà esterna o entrambe le cose nello stesso tempo, seguendo i modelli culturali e cognitivi di cui dispone, che indicano la direzione verso cui devono operare tali azioni adattative. Pertanto, parlare di processi adattativi nell’essere umano va inteso in un doppio senso: passivo e attivo. Il primo riguarda i mutamenti dell’ambiente che a loro volta producono in noi dei cambiamenti, al di là della nostra volontà. Il processo adattativo di tipo attivo, invece, si attua nel momento in cui modifichiamo a volontà il nostro ambiente e/o cerchiamo di ricodificare le nostre mappe cognitive, modelli interni, forma culturale e regole di condotta. Questa seconda accezione, l’automodifica cosciente e volontaria come strategia adattativa, è quella che si deve intendere in rapporto all’uso di enteogeni: in maniera universale l’uomo decide di farne uso all’interno di un contesto consensualizzato (ritualizzato o terapeutico) e con finalità quasi sempre esplicita, sperando con ciò di risolvere problemi e contraddizioni associati al suo essere-nel-mondo per mezzo della modifica endogena. Nel contesto qui considerato il momento centrale in cui si verifica l’ampliamento della consapevolezza ed il cambio di punto di vista sulla realtà (interna ed esterna) avviene immediatamente dopo l’espulsione dei contenuti angoscianti o non fino ad allora elaborati attraverso il vomito. Momento in cui il soggetto si ritrova ora libero da blocchi , posto di fronte all’eterna dualità della condizione umana. L’oscillazione del focus percettivo che l’individuo sperimenta permette infatti l’osservazione contemporanea della propria condizione precedente unita ad una sua revisione, in una posizione di neutralità rispetto ad entrambe.
In questo modo la dimensione ordinaria viene connessa a quella extra-ordinaria acquisendo da quest’ultima ogni potenzialità in essa presente. Il bisogno della “crisi della presenza” che coglie l’uomo di tanto in tanto rappresenta infatti proprio questa possibilità di riscatto, un disincanto dal mondo contemporaneo2 necessario per un miglioramento della propria condizione. Ma all’interno della società contemporanea che strumenti possiede l’uomo? E’ l’assenza di confini culturali e rituali che risponde a questa domanda.Il malessere psicologico diffuso nella società occidentale deriva da un’origine universale: un profondo vuoto interiore, la mancanza di un senso nella propria esistenza, ossia –per riprendere i termini di Fericgla - di una cattiva metafora dell’Io nel mondo. In sostanza viene a mancare una buona auto rappresentazione. Il cervello probabilmente ha bisogno di una maggiore attività ordinata che gli permetta di aumentare lo scambio di informazione interna e generare una maggiore stabilità del sistema, in definitiva una maggiore coscienza. Non si tratta allora di appropriarsi di elementi tradizionali estranei alla storia occidentale ma di traslarli rispettandoli, senza trasformarli in stile di vita, ma valorizzando la vita stessa di cui si fanno portatori. L’espansione di coscienza generata da un enteogeno come l’ayahuasca risulta, grazie ad un adeguato intento ed impegno personale in un contesto di sacralità rituale, uno strumento efficace per risvegliare le proprie potenzialità spirituali e auto-curative, per giungere ad una comprensione profonda degli aspetti più intimi del proprio essere , per raggiungere e sviluppare la consapevolezza del senso della propria vita . Nell’attuale società occidentale, la cui mentalità materialistica tende a ridicolizzare o a demonizzare esperienze del genere, deve essere presa in considerazione la realtà che piante o preparati comunemente usati da migliaia di anni, come l’ayahuasca, possano essere considerati degli strumenti utili per stimolare esperienze di contatto ineffabile col divino e processi evolutivi di adattamento comportamentale, per il generale risveglio spirituale della consapevolezza collettiva dell’umanità.



1 Si intende qui per Rito non solo l’insieme di tecniche e pratiche che appartengono alle culture cosiddette ancestrali, ma il suo significato deve qui estendersi a tutte quelle metodiche rituali che coinvolgono sia l’elemento comunicativo con una dimensione altra, che la base culturale cui questa appartiene, qualunque essa sia.
2 Termine da intendere qui in riferimento alla società post-industrializzata e non come temporalità condivisa tra culture diverse.

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