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venerdì 10 giugno 2011

CERIMONIA DI AYAHUASCA FRA GLI SHIPIBO: LA GIOIA DEGLI INDIZI


Riporto qua in seguito due esperienze fatte fra gli shipibo, vicino al villaggetto di San Francisco, non lontano da Pucallpa(Perù).
A condurre la prima cerimonia di Ayahuasca furono Mateo Arevalo ed il suo maestro Vicente. La seconda notte, invece, fu solo don Mateo ad aprire il rituale, insieme all'aiuto dei suoi apprendisti.


La prima notte è stata molto intensa, soprattutto grazie alla presenza ed ai canti di Vicente:l'anziano maestro di Mateo. Ricordo che la Medicina ha impiegato molto tempo prima di farsi sentire, tant'è che ad un certo punto mi son domandata se davvero ne avrei sentito gli effetti. Poi, ecco che all'improvviso, senza tregua, sono arrivate le immagini. Ho comunque ricordi confusi di quella notte. E' stato sicuramente qualcosa di particolare, anche perchè è stato un po' come assistere ad una lezione di apprendistato sciamanico. I maestri, raccolti vicino ai neofiti, tramandavano i loro icaros1 e parlavano, spiegando alcune cose a noi poco comprensibili. In momenti precisi fumavano mapacho2, ognuno per proprio conto, soffiando il fumo su gran parte del loro corpo per protezione e per richiamare gli spiriti. Ad un certo punto siamo stati chiamati anche noi per fare altrettanto. Io mi trovavo in piena mareacion3, con accenni di nausea , in più l'odore forte e dolciastro del mapacho accresceva il mio senso di malessere. Io e M.,il mio compagno, seduti ai piedi dei maestri, imitavamo il loro fumare, mentre loro ci limpiavano4 attraverso i canti. In quel momento mi sono sentita sballottata da fiumi di un'energia densa e palpabile che ininterrottamente sentivo fluire dalle loro bocche per poi riversarsi su di noi. Ci sono stati momenti in cui ho sentito qualcosa di simile alla paura, ma poi è andato tutto a scemare , ritrovandomi poi con l'apprezzare lo stato di mareacion in cui mi trovavo. Era piacevole lasciare andare il corpo alle oscillazioni percettive, sentire le mani molli e piccole. Le visioni mi sfrecciavano davanti agli occhi, rapidissime, al punto che diventava difficile e stancante distinguerne i contenuti e star dietro alle metamorfosi di mirabolanti e affascinanti sciami effimeri e variopinti. Ricordo che per gran parte del tempo mi era quasi impossibile stare ad occhi aperti e spesso finivo nel ritrovarmi in uno stato misto di sogno, realtà e visioni. La seconda notte, forse perchè meno potente e intimamente più “illuminante”, la ricordo con maggiore chiarezza. A partecipare eravamo sempre gli stessi,fatta eccezione per Vicente. Come la notte precedente, bevuto il bicchierino di Ayahuasca, siamo rimasti in silenzio finchè don Mateo non ha cominciato a cantare, più o meno dopo un'ora o poco più. Inizialmente i canti di Mateo mi davano fastidio: non riuscivo ad apprezzare la voce e le melodie. Insieme a ciò avvertivo una specie di pressione alla pancia, che mano a mano si trasformava in dolore vero e proprio. Anche la notte precedente avevo provato qualcosa di simile, ma questa volta era molto più forte e spaventoso. Inizialmente era come percepire la pressione e il peso di un grosso cordone ombelicale che mi teneva ancorata alla terra, poi più tardi solo mal di pancia, accompagnato da una lunga serie di spiacevoli ed angoscianti visioni che ora non ricordo. In seguito, per fortuna, i canti di don Mateo si sono interrotti per lasciar spazio a quelli di un ragazzo apprendista. E' stato come respirare di nuovo. La sua voce, melodiosa, ha cancellato il mio malessere, trasportandomi in un piacevole stato di completa mareacion in cui mi son ritrovata ad osservare nitide immagini caleidoscopiche. Ho visto, in principio, una serie di figure, per lo più facce di una razza primordiale...non erano elfi, ma potrebbero essere paragonate ad un popoletto primordiale delle piante. Mano a mano, visione dopo visione, pensiero dopo pensiero, sono arrivata a capire che la Medicina mi stava fornendo una serie di indizi per comprendere – o avvicinarmi- ad una realtà cosmica, universale dell'Origine. Questo ragionamento ha avuto inizio da quando mi sono accorta che visualizzando immagini di un panorama ampio potevo focalizzarmi su un dato particolare di esso, sempre di più, fino ad entrar dentro alla più piccola molecola di una parte. Allora, insieme alle immagini, parole-chiave mi si affacciavano alla mente. Una di queste è : “solo nella parte più piccola del grande si può comprendere la Verità”. Questa “Verità” è una verità primordiale, la chiave delle origini. E' stato come comprendere -o meglio, rendersi conto- che tutta l'esistenza, la realtà, è un infinito frattale il cui disegno (=verità?) è comprensibile, o almeno visibile, solo considerando la sezione più piccola di esso. In seguito qualcosa mi ha suggerito che la chiave, la Verità, è accessibile all'uomo, ma esso ormai si trova in uno stato di distrazione continua, a causa del suo allontanamento -straniamento, alienazione- dalla natura. I ponti per avvicinarsi a questa “Verità” ormai celata da uno spesso e quotidiano velo di Maya sono due: la natura e l'Ayahuasca. Sono ponti, come ho detto, perchè forniscono indizi che vanno decifrati. Decifrare la natura è per l'uomo ormai più difficile, in quanto lo stato ordinario intrappola ed inganna attraverso illusorie distrazioni. L'Ayahuasca è più diretta, si avvale di simbologie più manifeste, includendo anche la natura. Per un attimo, sono riuscita a cogliere il meccanismo quotidiano di distrazioni continue in cui l'uomo è imprigionato, quasi condannato: l'Ayahuasca me lo ha mostrato attraverso esempi simbolici. Ma non ricordo...ricordo solo che con insistenza mi è stato fatto capire, in qualche modo, che la chiave utile a sbrogliarsi da questo meccanismo, anche qui, sta nel “piccolo”. Fondamentale, per avvicinarsi a questa dimenticata e cristallina visione, è il cambio di prospettiva. E questo mi è stato mostrato con le visioni dal macro al micro (dal vasto panorama fino ad un suo molecolare dettaglio), in seguito con un'altra visione, assai diversa ma emblematica. Infatti, ecco che all'improvviso, nella lontananza dello spazio, scorgo una figura. Una figura umana, piccola. E' una bambina che corre, gioca, si guarda intorno. E' qualcuno a me familiare: sono io, bambina. Da osservatore esterno mi guardo, distante ma non distaccata. Posso leggere le espressioni sul volto di questa bambina, decifrarne le emozioni. Inizio così a provare un'immensa tenerezza per questa bambina che non vedo, nell'immediato, tradotta o trasferita nella mia persona, in me stessa. Vedo una bambina, semplicemente una bambina fra molte. Con questa distanza di sguardo ho la possibilità di andare oltre l'abitudine, oltre la soggettività e viceversa. E' un processo, un meccanismo biunivoco che pare sì scontato e forse, proprio per questo, va a perdersi o a dimenticarsi. Lontana dall'immedesimazione e dall'impersonificazione, sono riuscita a cogliere ciò che normalmente , nel passato come nel presente,non avevo la possibilità di vedere: me stessa, me piccola, indifesa, con straniamento. Il senso di tenerezza e di empatia che ho provato, così intenso quanto improvviso e inaspettato, mi ha portato a commuovermi. E qui, palese e manifesto, si è attuato un altro cambio di prospettiva. Cambiamento che apre gli occhi ed il cuore, che svela in nascosto altrimenti non visibile. Non dobbiamo lasciarci assorbire dalle cose, tantomeno da noi stessi. Le visioni continuavano. Ho visto la Liana, nitida, srotolarsi e scomporsi in catene di DNA. Ero vicina a captare nuovi indizi, anzi, probabilmente gli ho ricevuti, ma ora non ne ho più memoria. La mareacion era forte. Il mio corpo era gomma, poco gestibile. Fortunatamente il mal di pancia e la nausea iniziali sono spariti. Mi adagiavo goduriosamente in qualunque posizione mi mettessi, anche se dopo un po' mi rendevo conto dei dolori e dei formicolii e allora mi imponevo di cambiare posizione, fino a nuovi dolori. La mareacion era piacevole, ma quando ogni canto terminava, avevo il timore che Mateo ci chiamasse per fumare il mapacho come la notte precedente. Non avrei voluto, sia per le difficoltà nel gestire le capacità motorie del mio corpo, sia per l'idea di disgusto verso il mapacho, sia per la non voglia di abbandonare la posizione supina tanto apprezzata. Non è accaduto:nessuno ci ha chiamati.
I canti si sono poi interrotti. Non avevo la certezza completa che la cerimonia fosse finita. Poi M. mi ha chiamata per andare in stanza. Così, dopo aver tergiversato un po' per verificare che fosse davvero tutto concluso, ci siamo alzati (che trauma!) e mi sono resa conto che il mio corpo era ancora ubriaco. Camminando -o meglio, ondeggiando- a zig-zag, una volta uscita dalla capanna mi sono fermata fuori ad osservare la vastità e la meraviglia del cielo. Uno spettacolo indescrivibile. Ho rischiato di farmi inghiottire dalle stelle, una più luminosa dell'altra, bagnate da una fumosa via lattea, ben chiara e distinguibile. Con il cuore in gola dallo stupore per una simile,infinita e misteriosa bellezza, non riuscivo a togliere gli occhi da quella meraviglia. Ed ecco che, per mia sorpresa, una scia luminosa ha attraversato la vastità del cielo, breve ma folgorante. Un segno, o ancora meglio, un dono, se non un messaggio. Ho sentito una gioia forte da dentro, insieme ad un immenso senso di riconoscimento per questo segnale così speciale e ricco di magia. Che felicità! Poi, sempre sotto ai lampioni stellari, c'è stato qualche momento di ilarità con M., fino a quando, davvero esausti, non abbiamo raggiunto le nostre camere e, dopo una breve chiacchierata, ci siamo dati la buonanotte. Da quel momento, rimasta sola nella mia stanza, ho preparato con gusto e minuzia il mio giaciglio e il mio necessario, pregustando il momento in cui mi sarei sdraiata, stremata e ancora ben mareata. Tanto era piacevole questo senso di attesa, insieme a tutte le sue aspettative annesse, cercavo di ritardarne il momento del traguardo. Poi la stanchezza ha vinto e dopo essermi spogliata, ho subito goduto del contatto della mia pelle con la fresca e liscia stoffa del saccoapelo, ricordando il dondolio quasi impostomi di un icaro cantato dall'aiutante di Mateo durante la cerimonia. Nonostante la stanchezza -e forse proprio per essa- addormentarsi è stato difficile, ma la mattina seguente mi sono svegliata molto più riposata rispetto al giorno precedente in cui, davvero, durante l'intero giorno, il peso della nottata è stato incessante ed assai forte.


1 Canti o melodie provenienti dalla tradizione sciamanica dell'Amazzonia utilizzati dai curanderos nei loro rituali.
2 Sorta di sigari di Nicotiana Rustica
3 Il termine mareaciòn, dallo spagnolo marear (soffrire il mal di mare), indica non tanto gli effetti fisici provocati dall'Ayahuasca, quanto un ondeggiare tra la propria immagine e la percezione del proprio corpo fisico.
4 Dallo spagnolo limpiar, la limpia consiste generalmente in un rituale di pulizia durante il quale lo sciamano, avvalendosi di numerose tecniche indirizzate verso il paziente neutralizza le energie malvagie o le malattie.

3 commenti:

  1. Devono essere delle esperienze spettacolari che ti cambiano la vita per sempre.

    Tutto questo che hai raccontato esprime alla perfezione il concetto dell'universo come ologramma gigantesco in cui la singola parte racchiude il Tutto. Ho scritto sul mio blog un post sulla fisica esoterica, ma ti riassumo qui la parte che ritengo più interessante per questo discorso.

    Nel 1982 un’équipe di ricerca dell’Università di Parigi, diretta dal fisico Alain Aspect, ha scoperto che, sottoponendo a determinate condizioni delle particelle subatomiche, come gli elettroni, esse sono capaci di comunicare istantaneamente una con l’altra indipendentemente dalla distanza che le separa. È come se ogni singola particella sapesse esattamente cosa stiano facendo tutte le altre. Poiché la teoria di Einstein esclude la possibilità di comunicazioni più veloci della luce, l’ipotesi più accreditata per spiegare l’esperimento di Aspect è che le particelle subatomiche siano connesse non-localmente. Questa connessione non-locale tra le particelle è nota come entanglement.

    Il fisico inglese David Bohm cercò di spiegare i risultati di Aspect sostenendo che la realtà oggettiva non esiste. Nonostante la sua apparente solidità, tutto l’universo è una realtà fantasma, un ologramma gigantesco, in cui ogni singola parte racchiude il tutto. Un ologramma praticamente è una fotografia tridimensionale prodotta con l’aiuto di un laser, una proiezione virtuale di un oggetto reale. Se spezziamo in più parti l’ologramma, poi, ciascuna di esse mostrerà sempre l’oggetto per intero. Ogni singola parte di un ologramma contiene, quindi, tutte le informazioni possedute dall’ologramma integro.

    Quindi, il motivo per cui le particelle subatomiche restano in contatto indipendentemente dalla distanza che le separa, risiede proprio nel fatto che la loro separazione è un’illusione. Ad un livello di realtà più profondo, dobbiamo vedere tali particelle non più come entità separate ma come estensioni di uno stesso “organismo” fondamentale.

    Il comportamento delle particelle subatomiche, quindi, indica chiaramente che vi è un livello di realtà del quale non siamo minimamente consapevoli, una dimensione che oltrepassa la nostra. Se le particelle ci appaiono come entità separate è perché siamo in grado di cogliere solo una limitata porzione della realtà, e quindi non riusciamo a spiegarci razionalmente come possa esistere una connessione non-locale tra di esse. Ma la loro separazione è nient’altro che un’illusione, infatti esse non sono separate bensì diverse sfaccettature di un’unità più profonda e basilare.

    Ad un livello più profondo, tutte le cose sono intimamente collegate, dagli elettroni di un atomo di carbonio del cervello umano, alle particelle subatomiche di una uccello che vola, dal cuore che batte, a una stella che brilla nel cielo. Tutto compenetra tutto. E la natura altro non è che un’immensa rete ininterrotta, in cui il tempo e lo spazio perdono completamente di significato.

    L’universo intero, quindi, non è altro che una sorta di super-ologramma dove il passato, il presente e il futuro coesistono simultaneamente, un magazzino cosmico di Tutto ciò che Esiste, in cui la parte infinitesimale contiene il Tutto. Se fossimo in grado di accedere a questa dimensione più profonda, entreremmo in una specie di Non-Tempo, un Eterno Presente, in cui ci sarebbe possibile attingere qualunque tipo di informazione da ogni punto spazio-temporale, cogliere scene del nostro passato o vedere eventi futuri.

    continua...

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  2. Un altro fatto spiegabile in termini di principi olografici è l’abilità del cervello di tradurre onde elettromagnetiche nel mondo concreto delle nostre percezioni, proprio come un ologramma è in grado di convertire frequenze in immagini coerenti.

    Ma se la concretezza del mondo non è altro che una realtà secondaria e ciò che esiste è nient’altro che un turbine olografico di frequenze e se persino il cervello è solo un ologramma che seleziona alcune di queste frequenze trasformandole in percezioni sensoriali, che cosa resta dunque della realtà oggettiva? Nulla. È pura illusione. Proprio come sostenevano le religioni orientali, che hanno codificato questa verità nel concetto del “velo di Maya”. Sarebbe dunque la nostra coscienza a creare l’illusoria sensazione di un corpo e di qualunque altro oggetto che ci circondi e che noi sperimentiamo come “fisico”. Il mondo in cui viviamo può essere visto, quindi, come una sorta di tela bianca che aspetta solo di essere dipinta con tutte le immagini che vogliamo, e a quel punto anche le esperienze più “assurde” diventerebbero plausibili, tipo piegare un cucchiaio con la forza della mente.

    Se vedi, poi, nel mio post ho mostrato come questo concetto era già stato ampiamente compreso dagli antichi, da Eraclito sino ai vangeli apocrifi in cui Gesù istruisce i discepoli sulla vera natura della realtà. Una realtà in cui Tutto compenetra Tutto, e questo Tutto è il Verbo, il Logos, la trama nascosta presente in ogni manifestazione della realtà. Non esistono entità separate dotate di una individualità propria, nulla possiede realtà ontologica, esiste solo questa Intelligenza Cosmica che lega tutte le cose in una rete ininterrotta. Persino la parte infinitesimale non ha realtà a sé stante ma è essa stessa il Tutto. L’Unità nella Molteplicità. Tutto è Uno. Conoscere il Tutto equivale quindi a conoscere Sé stessi, poiché noi stessi siamo il Tutto, così come la singola parte dell’ologramma contiene in sé l’ologramma integro.

    L’esperienza iniziatica si basa dunque sulla totale identificazione tra soggetto e oggetto, tra conoscente e conosciuto, dobbiamo guardarci allo specchio e vedere noi stessi in ogni cosa.

    Insomma, mi pare quindi che le esperienze con l'ayahuasca permettano proprio di accedere a questa dimensione più profonda della realtà in cui è possibile percepire l'interconnessione di tutte le cose, interagire con gli esseri archetipali dei mondi superiori, ed anche la visione del proprio sé bambino è perfettamente coerente col fatto che in un ologramma il tempo e lo spazio perdono completamente di significato. Immagino che si riesca a percepire proprio l'energia racchiusa nella forma, sperimentando di fatto l'inconsistenza della materia.

    Per chiudere, volevo sapere se, secondo te, alla fine non bisogna cercare di raggiungere queste esperienze "naturalmente", senza l'uso di sostanze psicotrope.

    Ciao

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  3. Ciao Flash,bentornato. Ancora grazie per i tuoi contributi...già sapevo della ricerca di A.Aspect e posso assicurarti che percepirne conferme in simili frangenti è davvero qualcosa di assolutamente emozionante!Per quanto riguarda la tua domanda...beh...,non credo che alla fine sia corretto parlare di un modo naturale per raggiungere simili esperienze. E' vero che ci sono pratiche che lo permettono (meditazione, digiuni prolungati, il battito continuo e ritmico di tamburi,etc), ma a parer mio,l'assunzione di preparati vegetali è qualcosa di assolutamente naturale, una pratica che l'uomo coltiva fin dalla più lontana antichità, aspetto che, inoltre, condivide anche con altri animali...

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