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giovedì 1 dicembre 2011

AYAHUASCA: di cosa si tratta?






Ayahuasca è un termine quechua, dove “huasca” significa, a seconda del contesto, “corda”, “liana”, mentre “aya”, indica invece il morto, il cadavere. Per analogia, quindi, tale termine designa l'anima separata dal corpo dopo la morte, ossia il defunto o il suo fantasma, ma indica anche la possibilità, attraverso il suo impiego, di fungere da vero e proprio ponte fra il mondo ordinario e quello degli spiriti. La pianta ayahuasca (Banisteriopsis caapi) è una liana rampicante originaria della foresta amazzonica dalle proprietà psicotrope, emetico-purgative ed enteogeniche. Lo stesso termine riferito alla pianta viene impiegato altresì per indicare il decotto ricavato dalla lenta e prolungata bollitura della liana e dalla foglia di un arbusto (Psychotria viridis). La particolarità di questa bevanda è che per ottenere l'effetto visionario è assolutamente necessaria la presenza di entrambi i costituenti vegetali.
Varie documentazioni archeologiche attestano che le tradizioni relative all'uso di ayahuasca sono molto antiche: tracce iconografiche (pitture rupestri e vasi cerimoniali in pietra) rinvenute in Ecuador fanno risalire il suo uso ad almeno il 2000 a.C. Con l'aumento dei contatti intertribali nel corso dei secoli e, ancora di più con l'arrivo nel continente americano dell' “uomo bianco”, la bevanda è divenuta parte integrante, spesso su base sincretica, della vita di parecchie popolazioni tra Ecuador, Venezuela, Colombia, Brasile e Perù (Hancock, 2009). La bevanda svolge un ruolo fondamentale sia per quanto riguarda la vita spirituale, sia per le pratiche etnomediche delle popolazioni che la impiegano ed è considerata sia come sacramento o medicina (di frequente, infatti, ci si riferisce ad essa proprio con il termine “medicina”),sia come porta per raggiungere un “mondo altro” altrimenti non accessibile. Presso molte popolazioni amazzoniche le esperienze ottenute sotto l'effetto della bevanda hanno primaria importanza nell'interpretazione della realtà e degli accadimenti della vita. Gli sciamani amazzonici affermano, infatti, che la bevanda dà loro la possibilità di muoversi in dimensioni della realtà che i nostri parametri cognitivi e scientifici non prendono in considerazione: possono vedere e ricevere informazioni da persone fisicamente lontane, prevedere il futuro, curare malattie, pulire il corpo e la mente o entrare quando vogliono nell'alterità: dimensione magica e sacra della realtà (Luna, 1994).
Normalmente vengono distinte due principali forme di utilizzo di ayahuasca:

  • USO INDIGENO: il più antico uso di ayahuasca è quello di tradizione indigena, presso i popoli amazzonici e andini, tuttora diffuso in Venezuela, Colombia, Ecuador, Perù, Brasile e Bolivia. Il consumo della bevanda nel contesto rituale sciamanico è il principale strumento di comunicazione con il mondo sovrannaturale, con finalità relative alla presa di decisioni, cura, risoluzione di problemi e di conflitti intra-familiari, intra-tribali, etc. L'uso indigeno è generalmente orientato verso la propria comunità, centrando il proprio intervento sulle dinamiche sociali e spirituali che accompagnano la malattia. Lo sciamano “indigeno” è percepito dal proprio gruppo come un “armonizzatore”, una figura riequilibratrice in grado di stabilizzare e appianare le tensioni emotive all'interno del villaggio, anche mediante il contatto con il mondo degli spiriti.
  • USO MESTIZO: l'urbanizzazione, la mistura etnica e culturale in seguito all'integrazione storica degli indigeni con europei ed africani, hanno comportato l'utilizzo di ayahuasca da parte di meticci e bianchi in generale, all'interno del cosiddetto “curanderismo” o della medicina popolare. I curanderos (alcuni dei quali qualificati come veri e propri sciamani) apportano un importante contributo di guarigione alla salute degli abitanti. Tra di essi esistono quelli chiamati “vegetalistas”, ossia coloro che ottengono le proprie conoscenze direttamente dalle piante e che usano tali poteri a fini diagnostici o spirituali (Luna, 1994). Essi, prima di ricevere gli insegnamenti da queste “piante-maestro”, devono prima affrontare un lungo e difficoltoso apprendistato, rispettando, ad esempio, un regime dietetico particolarmente duro, l'astinenza sessuale e condizioni di isolamento durante il quale l'adepto ingerisce frequentemente una determinata pianta, fino a quando la “Madre” o lo “Spirito” di questa gli appare concedendogli i suoi doni di potere e di conoscenza.
    Il termine “ayahuasqueros” viene generalmente usato per definire gli sciamani specializzati nell'uso di ayahuasca (sebbene il termine sia maschile essi possono essere anche donne). L'uso di ayahuasca nella medicina mestizo contemporanea ha sempre luogo all'interno di questo contesto terapeutico. La somministrazione del decotto, il processo di manifestazione degli effetti fisiologici e psicoattivi sono sotto il loro controllo che, attraverso l'uro di varie tecniche, guida ed influenza il contenuto ed il corso dell'esperienza del paziente. L'ayahuasca viene usata come strumento terapeutico e diagnostico: in alcuni casi può essere impiegata come rimedio specifico, ma in genere è vista soprattutto come strumento in grado di permettere al guaritore di entrare nel campo d'origine della malattia.
Queste elencate sopra sono le principali categorie di ayahuasqueros rintracciabili in quelle zone del Sud America sopra menzionate dove è vivo e consueto l'utilizzo della bevanda a scopi rituali. Chiaramente, sia da quanto possiamo attingere da fonti bibliografiche, sia per esperienza personale, posso affermare che ognuno dei due tipi si può suddividere in altre sotto-categorie a seconda della personalità dello sciamano, dai sincretismi adottati (sia religiosi, sia culturali), sia dal tipo di apprendistato ricevuto, tutti elementi che possono caratterizzare ed influire sulle cerimonie da essi condotte.



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